Keeping it Simple
In conversation with Designer Alberto Meda by Ibrahim Kombarji
Il 1991 è stato un anno cruciale, segnato da profondi cambiamenti geopolitici e progressi tecnologici. Il crollo di una struttura politica radicata da tempo e l'ascesa di nuovi paradigmi digitali hanno rimodellato l'informatica, la comunicazione e l'elaborazione dei materiali. Questi cambiamenti hanno poi influenzato il campo del design. Il design, spesso riflesso o almeno risposta al contesto, si è adattato a questi cambiamenti, incarnando l'energia dinamica dell'epoca nelle sue forme e funzioni. Il designer italiano Alberto Meda, figura di spicco di questa evoluzione, ha collaborato con l'azienda di design sperimentale Alias esplorando nuovi materiali come l'alluminio estruso, i componenti pressofusi e le maglie di plastica leggera per i mobili. In occasione del 45° anniversario Alias celebra la collezione di sedie Frame (1991), dedicando a questo classico del design una edizione limitata.
Ibrahim Kombarji: Lei indossa molti cappelli che si influenzano a vicenda: un ingegnere meccanico laureato, un precedente manager tecnico, un designer industriale e un educatore. In che modo queste diverse esperienze danno forma al manifesto o all'etica del suo studio?
Alberto Meda: Credo che il design sia intrinsecamente complesso, senza un unico approccio privilegiato. Il mio lavoro fonde l'esperienza tecnica acquisita negli anni con il desiderio di semplicità. Considero tecnica ed estetica inseparabili: devono coesistere. Nel mio caso, il tentativo della mia pratica è quello di creare uno scenario di semplicità per soddisfare un bisogno quasi fisiologico di circondarsi di oggetti semplici. Per questo il contatto con il mondo scientifico è essenziale: un'idea deve affidarsi alla fisicità per prendere forma, e la tecnologia (il punto d'incontro tra scienza e tecnica) e i nuovi
materiali rappresentano la tavolozza in continua evoluzione delle possibilità fisiche. Paradossalmente, più la tecnologia diventa complessa, più permette di creare oggetti semplici con un'immagine unitaria, quasi organica, che tende all'integrazione delle funzioni e alla riduzione dei componenti (come nel caso della plastica o dei metalli fusi).
IK: Nel corso della sua carriera, lei ha collaborato con aziende di design iconiche come Vitra, Alias e Olivetti. Come nascono di solito queste collaborazioni?
AM: Sono stato fortunato nelle mie relazioni con i clienti, perché molte di queste collaborazioni sono state costruite su idee e valori condivisi. Un buon rapporto è fondamentale per generare buone idee. La mia collaborazione con Alias, ad esempio, è iniziata nel 1987
con un progetto di ricerca sull'utilizzo di materiali compositi - fibre di carbonio e strutture a nido d'ape in Nomex - in ambito domestico, tipicamente riservati ad applicazioni aerospaziali. Un progetto di ricerca affascinante, ma un flop industriale. Questo ha portato alla creazione della sedia LightLight, dove ho puntato a distribuire il materiale in modo “intelligente”, utilizzandolo con la massima parsimonia possibile, assottigliando le sezioni per ottenere prestazioni non solo in termini di leggerezza fisica, ma anche visivamente, riducendo al minimo l'ingombro. Non miravo a un record di leggerezza - non ha senso per una sedia - ma inconsapevolmente ho creato un effetto sorpresa: quando la si solleva, sembra priva di peso e quando ci si siede, non si crede che possa sostenerci. Ho così scoperto una dimensione estetica della “condizione limite”.
Ph. Miche Cinieri